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La Città dei Due Mari

Taranto è detta “la Città dei due mari”. Il Mar Grande è il tratto di Mar Ionio delimitato dalle Isole Cheradi; Il Mar Piccolo è invece un vasto bacino marino interno, connesso all’esterno da due canali navigabili. Il Mar Grande è collegato alla terraferma dal Ponte Girevole e dal Ponte di Porta Napoli ed è detto anche “rada di Mar Grande” perché vi sostano le imbarcazioni in attesa di passare nel Mar Piccolo. Il Mar Piccolo è un mare interno, invece, che dà vita ad una doppia insenatura a nord della città, ed è unito al Mar Grande da un canale navigabile ad est e dal canale di Porta Napoli ad ovest. In entrambi i mari, poi, circolano delle sorgenti denominate “citri”, fonti di acqua dolce mista ad acqua salmastra che creano l’habitat idrobiologico perfetto per la coltivazione delle ostriche e soprattutto dei mitili, meglio conosciuti come le famose cozze tarantine (Taranto vanta il più grande allevamento di cozze del mondo).

Lo straordinario mare di Taranto

La costa ionica della provincia di Taranto va da Marina di Ginosa, a nord del capoluogo, a San Pietro in Bevagna a sud. Tre le località sicuramente più conosciute il Lido di Gandoli, nell’omonimo golfo racchiuso tra alte scogliere e macchia mediterranee, e poco più a sud Porto Saturo, dominato dalla torre cinquecentesca, porto Pirrone, la preziosa Baia del Pescatore, per giungere alle bellissime insenature di spiagge come Le Canne, Montedarena e Lido SIlvana a Marina di Pulsano, Marina Piccola, Torretta a Mare, intervallate fra loro da scogliere, fino alle lunghe spiagge di sabbia bianca e dorata dell'isola amministrativa di Taranto, in area di Lizzano, per giungere fino a Campomarino e San Pietro in Bevagna, splendide località dove il litorale sabbioso è dolcemente circondato da alte e profumatissime dune su cui fiorisce la macchia mediterranea. La costa a nord di Taranto presenta sabbia gialla e un mare dalle tonalità del verde smeraldo, quella più a sud sabbia bianca fine e un mare dalle prevalenti tonalità del celeste. Ginosa e Castellaneta si fregiano spesso del titolo di bandiera blu per la qualità dei servizi e dello stato delle spiagge. Alle spiagge della costa si aggiungono quelle dell'isola di San Pietro, una delle due isole Cheradi, davanti alla città di Taranto. Essa è gestita dalla Marina Militare ma è raggiungibile mediante traghetti dell'Amat, l'azienda municipale per i trasporti nella città di Taranto.

Golfo di Taranto, dove i delfini nascono e crescono

Il Golfo di Taranto è la nursery prediletta da branchi di delfini di diverse specie, che in queste acque vengono a concepire e allevare i loro piccoli. Oltre la Stenella (Stenella coeruleoalba), presente in branchi numerosissimi anche con esemplari giovanissimi, Tursiopi (Tursiops truncatus) e Grampi (Grampus griseus). Il Golfo di Taranto è una delle rare 'feeding ground' del mondo, ovvero una zona in cui i delfini, cetacei pelagici, diventano stanziali riuscendo a trovare in una stessa zona di mare le condizioni ottimali sia per vivere che per riprodursi. La particolare conformazione batimetrica di queste acque presenta profondi canyon sottomarini che, anche a sole due miglia dalla costa, realizzano profondità di oltre 500 metri, simili al mare aperto in cui vivono questi cetacei. I delfini ed i cetacei di Taranto possono essere ammirati durante quotidiane escursioni in catamarano effettuate dai ricercatori della Jonian Dolphin Conservation (www.joniandolphin.it).

I Citri, sorgenti d'acqua dolce nel mare di Taranto

Con il termine citro, nell'area tarantina viene indicata una sorgente d'acqua dolce che sbocca dalla crosta sottomarina

Morfologia Carsica. Lo stesso golfo di Taranto, infatti, con il Mar Grande e i due seni del Mar Piccolo, ma anche tutte le altre numerose cavità, inghiottitoi e depressioni di un vasto territorio esteso all'altopiano delle Murge sono le manifestazioni di una complessa attività carsica che, in epoche assai remote, ha dato origine alle gravine pugliesi. Gli antichi corsi d'acqua originari, oggi non più visibili in superficie, scorrono tuttora in reti idrografiche sotterranee sfociando appunto nei citri al di sotto delle acque del mar Ionio e dell'Adriatico. Già all'inizio del Novecento, descrivendo le cause e le tracce di questi fenomeni, il versatile scienziato Cosimo De Giorgi faceva riferimento "alla grande estensione delle rocce calcaree in questa zona geografica; alla grande permeabilità all'acqua di alcune di queste rocce (sabbie, argille sabbiose, sabbioni tufacei ecc.); e alle fratture in tutti i sensi nei calcari compatti. Perciò in questa contrada alla circolazione superficiale delle acque si sostituisce per tutto quella sotterranea, come nell'Istria e nel Carso".[2]

Mar Piccolo di Taranto: il vortice d'acqua superficiale che segnala la presenza di un citro sottomarino.

Nella parte settentrionale di entrambi i seni del Mar Piccolo di Taranto sono localizzate rispettivamente 20 e 14 sorgenti sottomarine, che apportano acqua dolce non potabile mescolata con acqua salmastra a contenuto variabile di sali. In corrispondenza, i fondali del Mar Piccolo, normalmente poco profondi (dai 10 ai 12 m con un massimo di 14 m nel seno più esterno, dai 6 ai 9 m con un massimo di 10 m in quello più interno), presentano fosse anche di 30 m dovute all'azione erosiva dei flussi d'acqua sorgiva. Il più ampio di questi citri, il cui vortice era visibile anche in superficie fino alla metà degli anni sessanta (salvo alcuni brevi intervalli durante la siccità dell'estate del 1927),[3] si trova però nel Mar Grande di Taranto ed è chiamato "Anello/Citro/Occhio di San Cataldo", con riferimento da un lato alla sua forma circolare e dall'altro alla leggenda che narra come il santo irlandese (VII secolo), nel giungere a Taranto, avrebbe gettato il proprio anello pastorale in mezzo al mare per placare una tempesta e provocando così la formazione del gorgo.[4]

La gran quantità d'acqua dolce riversata continuamente in mare dai citri tarantini in punti abbastanza circoscritti comporta sia una sensibile e costante diluizione della salinità delle acque marine circostanti, soprattutto in profondità, sia un loro altrettanto sensibile e costante raffreddamento, sia infine un maggior rimescolamento, talora vorticoso, delle acque stesse.

Plinio il Vecchio potrebbe riferirsi a questi fenomeni specifici quando afferma «Et ostrea (...) gaudent dulcibus aquis et ubi plurimi influunt amnes», cioè: "le ostriche ... prosperano nelle acque dolci e dove confluiscono molte correnti".[5] La fiorente attività di mitilicoltura attestata nel golfo di Taranto fin dall'epoca medievale renderebbe infatti plausibile l'ipotesi della pesca, se non proprio dell'allevamento, di cozze anche nelle precedenti età greca e romana.[6] A Taranto si trova uno degli allevamenti di cozze più grandi al mondo. Un sapore reso unico e celebre proprio dalla particolare combinazione di salinità presente in queste acque.

Tratto da Wikipedia, enciclopedia libera, www.it.wikipedia.org/wiki/Citro

Unica colonia dell'antica e gloriosa Sparta

Taras (in greco Τάρας) fu una delle più antiche colonie della Magna Grecia e corrisponde all'odierna Taranto. Fu fondata dagli Spartani nell'VIII secolo a.C.

La cronologia tradizionale assegna la data della fondazione di Taranto al 706 a.C. Le fonti tramandate dallo storico Eusebio di Cesarea, parlano del trasferimento di alcuni coloni Spartani in questa zona per necessità di espansione o per questioni commerciali. Questi, distruggendo l'abitato indigeno, portarono una nuova linfa di civiltà e di tradizioni. La struttura sociale della colonia sviluppò nel tempo una vera e propria cultura aristocratica, la cui ricchezza proveniva, probabilmente, dallo sfruttamento delle risorse del fertile territorio circostante, che venne popolato e difeso da una serie di "phrouria", piccoli centri fortificati in posizione strategica.

La leggenda racconta che nell'VIII secolo a.C., l'eroe spartano Falanto, figlio del nobile Arato e discendente di Eracle di VIII generazione, divenne il condottiero dei Partheni, cioè dei figli delle vergini di Sparta (dal greco Parthenos, vergine). Consultando l'Oracolo di Delfi prima di avventurarsi per mare alla ricerca di nuove terre, apprese che sarebbe giunto nella terra di Saturo, e che avrebbe fondato una città nel luogo in cui egli avesse visto cadere la pioggia da un cielo sereno e senza nuvole (in greco ethra). Falanto si mise in viaggio, fino a quando giunse nei pressi della foce del fiume Tara. Addormentatosi sul grembo della moglie, ella cominciò a piangere a dirotto, ripensando all'oscuro responso dell'Oracolo e alle difficoltà sopportate, bagnando con le sue lacrime il volto del marito. L'oracolo si era avverato, una pioggia era caduta su Falanto da un cielo sereno: le lacrime della moglie Etra. Sciolto l'enigma, l'eroe si accinse a fondare la sua città a cui diede il nome di Saturo, cioè "città dedicata a Sat" (Sat-Ur).

Un'altra versione sull'origine di Taranto, farebbe risalire la nascita della città a 2000 anni prima di Cristo, ad opera di Taras, uno dei figli di Poseidone. Taras sarebbe giunto in questa regione con una flotta, approdando presso un corso d'acqua che poi da lui stesso avrebbe preso il nome: il fiume Tara. Sempre secondo la leggenda, Taras avrebbe edificato non solo la città che sarebbe divenuta Taranto, ma anche quella che egli dedicò a sua moglie Satureia e che chiamò Saturo. Un giorno Taras sarebbe scomparso nelle acque del fiume e dal padre sarebbe stato assunto fra gli eroi.

L'antica Taranto ebbe un grande culto per il dio Poseidone e naturalmente nella città, non poteva non essere eretto un tempio dedicato a questa mitica divinità. Più tardi, nel II millennio a.C., giunsero dal mare anche delle colonie Arii, le quali, attratte dalla particolare conformazione della costa, costruirono le loro case su palafitte. A poco a poco gli Arii riuscirono a sottomettere le popolazioni locali ed a controllare tutto il territorio.

Le isole Cheradi

Le Isole Cheradi (in greco Choiràdes Χοιράδες), costituiscono un piccolo arcipelago che chiude a sud-ovest la darsena del Mar Grande di Taranto, nell'omonimo golfo. L'arcipelago è composto dalle due isole di San Pietro e San Paolo (rispettivamente distanti dal Canale navigabile di Taranto 6,3 e 6,1 km), facenti parte del demanio militare; lo sbarco e la navigazione sono vietati per l'isola di San Paolo, mentre l'isola di San Pietro è stata di recente in parte aperta al pubblico; è fruibile una spiaggia molto estesa, raggiungibile dalla città con mezzi dell'Azienda Municipalizzata Trasporti (AMAT Idrovie). Tucidide fu il primo a tramandare il nome delle Cheradi (dal greco Choiràdes (Coiradeς) che significa promontorio o corna). Anticamente le isole erano chiamate dai Greci Elettridi (Elektrides, Ηλεκτρίδες), in onore di Elettra, la figlia del dio Poseidone molto venerato a Taranto (lo stesso leggendario fondatore della polis, Taras, era figlio di Poseidone), ma probabilmente fu loro attribuito questo nome perché su di esse crescevano rigogliosamente alberi bituminosi che producevano elettro, ovvero ambra: ciò è testimoniato dal ritrovamento di monili in ambra nel territorio circostante. L'isola grande era chiamata Phoebea (Φοίβεα) in onore della dea Artemide per via della folta boscaglia, mentre l'isola piccola semplicemente Elettra (Ηλέκτρα). Secondo quanto tramandatoci dal libro De Admirandis ascultationibus, la tradizione vuole che Dedalo, fuggendo da Creta, si sia rifugiato su queste isole lasciandovi 2 statue, una in stagno e l'altra in bronzo, rappresentanti la caduta di Icaro e Fetonte. Nel Medioevo, con l'avvento del Cristianesimo, le due isole di San Pietro e di San Paolo assunsero rispettivamente il nome di Santa Pelagia e Sant'Andrea, per via delle chiese che vi furono edificate in onore dei due santi. Nel IV secolo l'isola più grande fu abitata da Santa Sofronia, anacoreta e martire tarantina. Verso la fine del Settecento, Napoleone Bonaparte fece edificare sull'Isola di San Paolo il Forte de Laclos, dal nome del Generale d'Artiglieria Pierre Choderlos de Laclos, ivi sepolto nel 1803. Con l'Unità d'Italia, le isole furono sottoposte all'attenzione delle autorità marittime: passate dai beni del Capitolo a quelli del Regno e poi alla Marina Militare.

tratto da www.it.wikipedia.org/wiki/Isole_Cheradi

Gli Euro "targati" Taranto

La nuova serie “Europa” delle monete cartacee dell'euro, è così chiamata perché in filigrana è raffigurato il volto dell'omonima dea della mitologia greca. L'effigie è tratta da un vaso greco del 360 a.C rinvenuto a Taranto ed oggi conservato al Louvre di Parigi. La ristampa delle nuove banconote è partita nel 2013 con la 5 € e proseguita con la 10, stampata a partire dal 2014.

Il topazio scolpito più grande del mondo

E’ il più grande gioiello artistico del mondo e si trova a Taranto.

La Puglia accoglie un gioiello strepitoso che lascia a bocca aperta gli studiosi d’arte orafa. Ci riferiamo al topazio di Ferdinando II, conservato nel locale Museo Diocesano. Mercanti al servizio di Carlo di Borbone o forse un suddito fedele a Francesco I, non si sa esattamente chi portò a Napoli la gemma, si sa solo che era una pietra durissima, dal colore arancio pallido e dal peso di quattro chili. Inizialmente doveva essere destinata a due lavorazioni distinte, una per la porta della Cappella Palatina del Palazzo Reale di Caserta e l’altra per il portone della Chiesa di San Francesco di Paola a Napoli. Le cose però andarono diversamente.

Era troppo dura e nessun trattamento dava i frutti sperati. Numerosi furono i problemi che incontrarono gli orafi di corte. Ogni strumentazione sembrava inadeguata, gli scalpelli si rovinavano, la pietra neppure veniva scalfita. Per tale ragione il progetto destinato a Caserta si arenò. Destino diverso invece ebbe quello per la chiesa di San Francesco di Paola. Ferdinando II, tra sfida e rassegnazione, si affidò infatti ad Andrea Cariello, affermato artista di Padula, scultore ed incisore della Zecca Reale, decoratore della Reggia di Caserta. Questi si servì di strumenti modernissimi, alcuni sperimentali. Adoperò scalpelli con punta di diamante, impegno e fatica e dieci anni dopo finalmente l’opera era pronta. Una gemma di circa un chilo e mezzo, alta diciotto centimetri e lunga quattordici e mezzo, spessa sette. Un’opera unica che raffigura in bassorilievo Gesù nell’atto di spezzare il pane. Un autentico capolavoro della lavorazione glittica che avrebbe certamente meritato risonanza internazionale, nel frattempo però a Napoli le cose erano decisamente cambiate: Ferdinando II era morto ed il Regno delle Due Sicilie non esisteva più, annesso alle conquiste piemontesi. L’opera restò al suo autore, privato pure del legittimo compenso, ed i suoi discendenti, anni dopo, la donarono all’Arcidiocesi di Taranto. Si conserva oggi nel Museo Diocesano cittadino tra il silenzio e l’inconsapevolezza di molti. E pensare che il topazio fu definito da una commissione di esperti francesi “il più grande gioiello artistico del mondo”!

di Angelo D’Ambra, tratto da www.historiaregni.it/il-topazio-di-ferdinando-ii-a-taranto/

La Cavalleria Tarantina, esempio militare per il mondo antico

Le fondazioni coloniali greche in Italia meridionale avvennero nella maggioranza dei casi attraverso la sottrazione, esercitata con la forza, di fasce di territorio più o meno ampie, già controllate o occupate dalle popolazioni indigene. Il fenomeno interessò i secoli VIII e VII a.C., epoca nella quale si affermarono nella madrepatria significative innovazioni sia nell’equipaggiamento militare, con l’introduzione dello scudo di grandi dimensioni (hóplon), che nelle tecniche di combattimento, basate ora sull’utilizzo della falange “oplitica”, che traeva denominazione proprio dal nome dell’arma da difesa in dotazione ai fanti. Si trattava di una nuova formazione tattica a ranghi compatti che sostituì rapidamente le modalità di scontro “eroiche”, tipiche delle società omeriche, nelle quali l’evento bellico era attività prevalente delle aristocrazie, e limitato in forma quasi esclusiva al confronto corpo a corpo. Scopo della falange era quello di provocare, attraverso la carica, una notevole forza d’urto tramite la pressione degli scudi, tale da scompaginare le forze nemiche.

continua a leggere a questo indirizzo www.archeotaranto.altervista.org/archeota/taras78/lastoria.htm

Organizzazione militare e tecniche di combattimento nella Taranto greca, di Gianpiero Romano, tratto da www.archeotaranto.altervista.org/archeota/taras78/lastoria.htm

La Notte di Taranto

A Taranto è legato una delle disfatte più cocenti della Regia Marina italiana durante la II guerra mondiale. Una ferita indelebile per Taranto, il cui ricordo affiora ancor oggi insieme agli ordigni che di tanto in tanto restano impigliati fra le reti dei pescherecci che battono i due mari. Erano le 22,58 dell'11 novembre 1940 quando il cielo di Taranto venne illuminato a giorno dai “bengalieri” della Royal Air Force inglese per quella che era l’operazione Judgement: due ondate a distanza di mezz’ora l’una dall’altra, portarono sulla città 21 swordfish, vecchi biplani ereditati dalla I guerra mondiale, i quali sganciarono una serie impressionante di bombe e siluri sulla flotta italiana, ormeggiata quasi per intero nel porto della città bimare. Mentre sei bombardieri creavano il diversivo attaccando le navi minori in mar Piccolo, undici siluranti aprivano il fuoco sulle corazzate alla fonda di mar Grande, colpendo gravemente la Cavour, la Littorio e la Duilio e danneggiando il Trento e il Libeccio. Un’ora e mezza dopo fu tutto finito. Un attacco studiato sin dal 1935 per sbarazzarsi della presenza italiana nel Mediterraneo, teatro dei traffici inglesi con Malta e le colonie d’Africa. La missione era stata fissata per il 21 ottobre, anniversario della vittoria di Nelson a Trafalgar, ma un incendio sull’Illustrious e un’avaria alla Eagle, le portaerei da cui sarebbero decollati i velivoli nei pressi di Zante, fece slittare tutto e pianificare l’attacco con la sola Illustrious e nove aerei in meno. La fortuna però aiutò gli audaci, perché l’11 novembre le condizioni per l’attacco furono ancora più favorevoli rispetto a quattro giorni prima: appena il 25 ottobre l’Italia dichiarò guerra alla Grecia e questa mossa finì col concentrare nel nostro porto anche le navi solitamente dislocate a Napoli, Messina e Palermo. Oltre a ciò il destino volle che la notte prima dell'attacco la rete antisiluri venisse imprudentemente lasciata aperta, proprio dopo l’ingresso in porto di una di queste corazzate di rinforzo. Ci si mise perfino una mareggiata a strappare alcuni degli 87 palloni di sbarramento posizionati a protezione delle navi ed una luna piena che consentì le migliori condizioni visive per il bombardamento.

 

per saperne di più si veda questo video www.youtube.com/watch?v=6EkSWS14A5Q

San Cataldo, la Cattedrale più antica di Puglia

Tra le più belle chiese dell’intera regione, la Basilica Cattedrale intitolata a San Cataldo è il fiore all’occhiello di Taranto vecchia in piazza Duomo, di origine medievale ma modificata in epoca barocca, che custodisce le spoglie del patrono in una cappella laterale.
 

La cattedrale di San Cataldo (o duomo di San Cataldo) è una chiesa di Taranto, precisamente la più antica cattedrale pugliese, inizialmente dedicata a santa Maria Maddalena poi a san Cataldo vescovo. Fu costruita ad opera dei bizantini nella seconda metà del X secolo, durante i lavori di ricostruzione della città voluti dall'imperatore Niceforo II Foca. Negli ultimi anni dell'XI secolo l'impianto bizantino venne rimaneggiato e si costruì l'attuale cattedrale a pianta basilicale. Tuttavia la vecchia costruzione non fu sostituita del tutto: il braccio longitudinale, ampliato e ribassato, incorporò la navata centrale con la profonda abside della chiesa bizantina, rimasta inalterata; l'altare è posto sotto la cupola e la vecchia navata divenne il transetto, tagliato poi dalle navate laterali, lasciando in vista una serie di colonnine che decoravano l'antica costruzione. Nel 1713 fu aggiunta la facciata barocca, opera dell'architetto leccese Mauro Manieri.

Nell'ottobre 1964 papa Paolo VI l'ha elevata alla dignità di basilica minore.

La facciata settecentesca è un trionfo barocco, tra nicchie di santi, angeli e medaglioni, preludio al sontuoso interno di 84 metri in lunghezza, dove si aprono le tre navate e le numerose cappelle. Il pavimento conserva ancora tracce dell’antica decorazione musiva, mentre le pareti sono riccamente decorate. Avvolge con la ricchezza dei marmi e degli stucchi il Cappellone di San Cataldo, dove sono conservate le spoglie del santo, dalla cupola affrescata, mentre ha conservato intatta la suggestione bizantina la criptacruciforme, ritmata da colonne basse e decorata da affreschi duecenteschi.

www.it.wikipedia.org/wiki/Cattedrale_di_San_Cataldo

Cripta del Redentore, la prima chiesa cristiana di Puglia

Patrimonio storico -artistico della città bimare, la Cripta del Redentore è situata in via Terni, in città nuova. Piccola chiesa ipogeica, era originariamente una tomba a camera di età classica, dove prima sorgeva l'antica necropoli della città magno-greca. Cinque metri sotto il livello stradale, è scavata nel tufo evi si accede attraverso degli scalini che corrispondono con l'antico pozzo ad essa collegato. Nella parete ad est si ricavò un abside e, sulla parte di intonaco successiva, vi si rinvengono degli affreschi bizantini (IX-XII sec) di grande pregio in cui sono raffigurate le figure iconografiche del Cristo Pantocratore (Signore di ogni cosa), fra San Giovanni e la Vergine. Le figure laterali sono invece decorate con figure di santi venerati nel mondo orientale bizantino: San Basilio, Sant'Euplo e San Biagio, cui la comunità tarantina, nell'800-900 d. C. era strettamente legata. I dipinti sono contrassegnati da scritte in greco con il nome dei santi rappresentati. Alla chiesa è collegata una grotta, ove è presente una fonte di acqua sorgiva, un tempo dedicata al culto di Apollo dove, secondo una leggenda riportata nell'Historia Sancti Petri del IX secolo, l'apostolo Pietro si sarebbe fermato, diretto a Roma, per somministrare dei battesimi. E' in questo periodo - IX-X secolo d. C., che la cripta fu consacrata al culto cristiano. Nel periodo medievale fu anche utilizzata come basilica sotterranea.

tratto da www.fondazioneterradotranto.it/2012/08/31/taranto-la-cripta-del-redentore-2, di Daniela Lucaselli

Seminario Arcivescovile, uno dei primi d'Italia

L'ex Seminario arcivescovile di Taranto è uno dei palazzi del borgo antico della città. Fu uno dei primi seminari ad essere fondato dopo il Concilio di Trento: venne infatti inaugurato il 1º giugno 1568 ed ebbe come primo rettore lo storico Giovanni Giovine. L'ex seminario si affaccia sul Mar Grande, con l'ingresso principale in vico Seminario. 

Poco si conosce ed è stato tramandato a testimonianza della conformazione originaria dell'edificio, a causa delle continue trasformazioni a cui è stato sottoposto nel corso dei secoli, le cui tracce sono riscontrabili tra l'altro dalla presenza degli stemmi degli arcivescovi Sarria e Pignatelli, che avrebbero ingrandito l'edificio rispettivamente nel 1638 e nel 1685, o del portale in marmo bianco voluto dall'arcivescovo Mastrilli intorno al 1770. Con l'arrivo a Taranto dei francesi nel 1801, il seminario fu adibito ad alloggio per le truppe, mentre dopo l'unità d'Italia ospitò brevemente il Liceo ginnasio "Archita", per ritornare alla sua funzione originaria nel 1889. Chiuso nuovamente durante la prima guerra mondiale, venne abbandonato definitivamente nel 1964, in seguito all'inaugurazione del nuovo seminario di Poggio Galeso.

Dal 6 maggio 2011 è la sede del Museo diocesano.

Tratto da www.it.wikipedia.org/wiki/Seminario_arcivescovile_di_Taranto

Le Torri costiere del litorale tarantino

La diffusione delle Torri Costiere nelle province pugliesi è legata a ragioni di difesa: erano frequenti gli attacchi di popolazioni provenienti dal mare. Nei vari comuni vennero edificate Torri di Avvistamento a scopo di difesa. A partire dalla seconda metà del 1500, anche il litorale tarantino venne preso d'assalto dai pirati e la difesa della città venne affidata a queste Torri di Guardia. Queste quelle del territorio di Taranto: 

  • Torre Colimena nel Comune di Manduria, possiede due sole caditoie e presenta ancora oggi i segni del ponte levatoio posto a ridosso della scala.

  • Torre Saline ubicata nel Comune di Manduria, ormai fortemente danneggiata, ancora visibili al primo piano i grandi magazzini che contenevano il sale.

  • Nel Comune di Manduria si trova Torre San Pietro in Bevagna, nelle immediate vicinanze della Chiesa di San Pietro.

  • Torre Borraco si trova nel Comune di Manduria, fu costruita anche per difendersi dagli attacchi nemici, deve il suo nome alla presenza di un piccolo fiume nelle vicinanze, appunto il Fiume Borraco.

  • Torre Moline è sita invece nel Comune di Maruggio, in questa torre non esistono tracce della sua natura difensiva.

  • Nel Comune di Torricella si trova Torre Ovo.

  • Nel Comune di Lizzano è ubicata Torre Canneto.

  • Torre Zozzoli o Torre Sgarrata si trova nel Comune di Pulsano.

  • Torre Lama si trova el Comune di Taranto.

  • Torre Capo San Vito a Taranto.

  • Torre Rondinella a Taranto.

  • Torre Tara si trovava a Taranto non ne resta traccia.

  • Torre Rossa o Torre Sasso, anche questa andata distrutta.

  • Nel Comune di Pulsano si trova Torre Castelluccia.

  • Torre Saturo a Leporano.

  • Torre Saline o Torre Lo Lato nel Comune di Castellaneta.

  • Torre Mattoni nel Comune di Ginosa.

si veda anche questo video www.youtube.com/watch?v=CXmG88V2qew

Terra di Taranto, terra di Gravine

Statte, Crispiano, Massafra, Castellaneta, Palagianello, Ginosa, Grottaglie, Mottola. Il territorio di Taranto è quello che gode maggiormente, in Puglia, dell'attraversamento di questi straordinari canyon scavati nella roccia. Insediamenti medievali, chiese rupestri, dolmen, villaggi paleolitici e straordinari paesaggi naturalistici ricchi di profumata e colorata flora ed esemplari di fauna unici.

Le Dune del litorale tarantino

Le Dune di Campomarino sono un complesso di dune della provincia di Taranto situate lungo la costa del comune di Maruggio, accanto alla sua frazione di CampomarinoEstese per 41 ettari ed alte fino a 12 metri s.l.m., si sono originate circa 7500 - 3300 anni fa e sono alcune delle meglio conservate in Italia.

Grazie alla loro esposizione perfettamente a sud hanno sviluppato una rigogliosa macchia mediterranea (ginepri, come arbusti di ginepro coccolone e feniceo e in forma arborea e, nelle parti più degradate, gariga a timo e elicriso. Nelle rupi a picco sul mare si trovano anche il limonio virgato e il finocchio marino. In questo tratto di costa, nei giorni limpidi, dai punti più alti delle dune è visibile il massiccio della Sila, quello del PollinoPorto Cesareo fino ad arrivare a Gallipoli. Da pochi anni sono un sito di interesse comunitario. Vi è stato creato il "Parco delle dune di Campomarino", proposto dal giugno 1995, la cui area protetta si estende lungo tutta la costa del comune di Maruggio e comprende l'habitat prioritario delle "dune grigie". Le dune tarantine partono da Lizzano ed arrivano a Campomarino di Maruggio attraversando l'area della litoranea ionico-salentina ricompresa nel comune di Taranto.

 

tratto da Wikipedia a questo indirizzo, foto di Marek93 di Wikipedia in italiano, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=3

Il Mirto Tarantino

Il Mirto tarantino, emblema di pace per gli Ebrei, pianta sacra per i Greci e i Romani: storia e mito di una delle piante più tipiche della macchia mediterranea.

Passeggiando lungo i viali e tra i giardini di una delle tante, storiche, ville che impreziosiscono la già splendida città di Roma, non è raro osservare magnifici arbusti di Mirto tarantino, alti anche fino a tre metri. Ciò che sorprende è come questa pianta, nota e coltivata fin da tempi immemorabili, già apprezzata per le sue qualità cosmetiche e proprietà curative da Assiri e antichi Egizi, sacra per Greci e Romani, sia poco conosciuta proprio nel suo territorio di origine.
Come spesso accade occorre superare i confini, e non solo geografici, del proprio territorio, per poter apprezzare al meglio quanto esso sia ricco non solo di tesori artistici, storici e culturali, ma anche, come nel caso del Mirto, naturalistici.

Dal punto di vista botanico il Mirto (Myrtus communis L.) dà il nome ad un ordine (Myrtales) e ad una famiglia di piante, quella delle Mirtacee, a cui appartengono quasi 4000 specie di alberi e arbusti tropicali e subtropicali, quasi tutte aromatiche e ricche di oli essenziali.
Tra queste ricordiamo l’Eucalipto, originario dell’Australia, il Caryophillus aromaticus, da cui si ricavano i chiodi di garofano e la Feijoa.

Il Mirto si presenta perlopiù sotto forma di arbusto alto fino a 5 m dalla chioma emisferica e globosa; il tronco è breve, diviso e ramoso, dalla corteccia bruno-rossastra, a squame e fibrosa.
Originario della Persia ed Afganistan, in Asia, e dell’Europa meridionale, il Mirto èuna delle piante più caratteristiche della macchia mediterranea. Ha areale circummediterraneo, dove è frequente lungo i litorali, nelle siepi e nelle boscaglie, associandosi volentieri con specie tipiche della macchia mediterranea, come il Leccio, il Pino d’Aleppo, il Ginepro, il Corbezzolo, la Fillirea, il Lentisco e i Cisti. 

Tra queste ultime c’è la nostra tarentina: caratterizzata da foglie piccole (4-6 mm di larghezza), tipica delle regioni più calde d’Italia, si presta in particolare alla formazione di fitte siepi e con la sua presenza abbellisce viali e giardini di molte località italiane.

Simbologia, mito e leggende
Il nome Mirto deriva dal latino myrtus, greco myrtos, di origine semitica, derivante dalla stessa radice di myron, che significa “essenza profumata”.

di Francesco Lacarbonara (tratto da www.culturasalentina.wordpress.com/2009/12/04/il-mirto-tarantino-storia-e-mito-di-una-delle-piante-piu-tipiche-della-macchia-mediterranea/)

Il passaggio di San Pietro da Taranto

Principe degli apostoli, Pietro, nato a Betsaida di Galilea e morto a Roma nell’anno 67, viaggiò molto per diffondere il Vangelo, a cominciare dalla Giudea e dalla Samaria. Tra gli scritti cosiddetti pseudo-clementini, composti poco dopo il 200 d.C., vi è un’opera denominata Viaggi di Pietro, che era stata adottata dai giudei ebioniti. A Taranto la visita dell’apostolo è riportata nella Historia Sancti Petri, testo agiografico risalente al IX-X secolo, ove si narra che Pietro, prima di entrare in città all’epoca dell’imperatore Claudio (41-54 d.C.), si volle fermare sull’isola antistante, oggi chiamata isola di San Pietro. Anche in questo caso non si tratterebbe solo di una sosta, ma di una tappa che comporta sempre l’evangelizzazione degli abitanti, il loro battesimo e la loro conversione. Fra i battesimi da lui impartiti, diversi avrebbero avuto luogo presso la Cripta del Redentore, in via Terni. Si racconta infatti che il SAnto, giunto in città ed avendo necessità di dissetarsi, si sarebbe recato presso il luogo sacro ove sorgeva l'antica "Soregente del Sole", collegata alla Cripta, qui fondandovi la prima testimonianza di chiesa cristiana di Puglia. Un Index Apostolorum del III secolo confermerebbe l’istituzione petrina dei primi vescovi pugliesi. 

Abbondanza di segnali e di riferimenti troviamo anche a San Pietro in Bevagna, la località marittima di Manduria, a metà strada tra Taranto e Gallipoli, e che conserva nel suo toponimo l’antica tradizione petrina. Manduria è città antichissima, di origine pre-romana, con importanti resti della lontanissima civiltà messapica (necropoli, muraglioni), ed è ricordata anche da Plinio (23-79 d.C.) nella Historia Naturalis per il suo inesauribile Fonte, poi chiamato “Pliniano”. Proprio accanto alla necropoli messapica, sempre ricca di sorprese archeologiche, sorge l’antichissima chiesetta di San Pietro Mandurino. Al di sopra di questa costruzione sotterranea, un consumato affresco raffigurante San Pietro accoglie il visitatore.

L’antico rito della processione che da tempo immemorabile si svolge da Manduria a S. Pietro in Bevagna intende proprio fare memoria dello sbarco dell’Apostolo, dovuto, secondo la tradizione petrina, ad un naufragio. Segni di un antico naufragio, a dire il vero, sono ben evidenti a pochi metri da questa costa: i ben noti sarcofagi di marmo grezzo che fan bella mostra di sé sui trasparenti fondali marini (foto 4-5-6-7). Si tratta certamente di manufatti d’epoca romana, risalenti ai primissimi secoli d.C., ma non è certo possibile stabilire se sono provenienti dalla stessa nave che portava l’Apostolo. Certo è che l’approdo a San Pietro in Bevagna era spesso tappa obbligata per gli antichi naviganti, sia per il rifornimento d’acqua (il locale Chidro è uno dei rarissimi fiumi sul versante jonico del Salento), e sia per il rifornimento del sale, tanto indispensabile per la conservazioni degli alimenti trasportati (e ben presente nella vicina salina De’ Monaci).

Il Conte di Montescristo, una storia nata a Taranto

Ebbe luogo nel castello di Taranto la lunga prigionia del Conte di Montecristo, la storia straordinaria del primo generale di colore della storia. Il figlio Alexandre si ispirò a lui e alla reclusione di Taranto per il suo romanzo. Era il 18 gennaio 1797. «Ho appreso che il somaro che ha il compito di relazionarvi sulla battaglia ha dichiarato che sono rimasto in osservazione durante quella battaglia. Non gli auguro di trovarsi nello stesso genere di osservazione, perché si cacherebbe nei pantaloni». Anche quando si rivolgeva al suo capo supremo, Napoleone, il generale Thomas-Alexandre Dumas mostrava il suo carattere di grande condottiero. Alto un metro e 85, formidabile spadaccino, Dumas fu non soltanto il primo generale nero della storia. Fu il vero Conte di Montecristo. La sua parabola si concluse in una cella del castello di Taranto. Catturato dai sanfedisti nel 1799 dopo un naufragio, Dumas ne entrò forte, baldanzoso, sprezzante. Due anni dopo ne uscì guercio, sordo da un orecchio, zoppo. Una paresi aveva immobilizzato la parte destra del suo volto. Benché fosse scampato miracolosamente a piùtentativi di avvelenamento, la sua vita finì praticamente qui. Si reggeva su un bastone. Aveva 39 anni. Il figlio scrittore – Alexandre Dumas – si ispirò al papà per il personaggio di Porthos nei Tre Moschettieri e descrisse nel Conte di Montecristo, il più grande romanzo d’appendice dell’Ottocento, la penosa prigionia di Taranto. Edmond Dantès era in realtà il padre, il generale Dumas. Il castello d’If, nel Golfo di Marsiglia – la terrificante prigione di Dantès - era il castello di Taranto. La cella in cui 215 anni fa s’inabissò la leggenda dell’ufficiale più ammirato dell’esercito napoleonico è oggi una saletta grande cinque metri per dieci destinata all’accoglienza dei turisti nel castello aragonese.

Tratto da www.corrieredelmezzogiorno.corriere.it/bari/arte_e_cultura/15_gennaio_01/nel-castello-taranto-lunga-prigionia-conte-montecristo-3175d4e4-91cd-11e4-9f1e-68217d4aa5c8.shtml

Choderlos de Laclos: è sepolto a Taranto lo ‘scandaloso’ autore de “Le relazioni pericolose”

Lo hanno definito “scrittore di un solo libro”, ma quel libro è bastato a renderlo celebre e a consegnarlo alla storia della letteratura. E’ il francese Pierre-Ambroise-François Choderlos de Laclos autore del romanzo epistolare “Le relazioni pericolose” (Les liaisons dangereuses), opera-scandalo comparsa nel 1782, considerata uno dei capolavori della letteratura francese. In tanti ricorderanno anche la versione cinematografica diretta nel 1988 da Stephen Frears. Generale dell’esercito napoleonico, de Laclos si ritrovò di stanza a Taranto al comando della Riserva di Artiglieria dell’Armata d’Italia; qui gli fu affidato il compito di proseguire la costruzione di un forte (già iniziata nel 1801) che avrebbe dovuto avere un ruolo determinante per la difesa di Taranto, quando l’Imperatore decise di farne il suo avamposto nel Mar Mediterraneo. In questa città de Laclos morì nel 1803 nel Convento di San Francesco d’Assisi. Fu quindi sepolto per suo volere nella piazza d’armi interna al Forte, tutt’ora esistente, fatto edificare alla fine del ‘700 da Napoleone sull’isola di S. Paolo, la più piccola delle Cheradi, nel golfo di Taranto. Laclos era nato ad Amiens nel 1741 e durante la Rivoluzione Francese divenne membro del circolo dei Giacobini. Arrestato nel 1793 e rimesso in libertà non molto tempo dopo, prese parte come generale di brigata alle campagne napoleoniche del Reno e d’Italia. E’ questo il motivo per cui lo ritroviamo a Taranto presso il Forte napoleonico dove governò la piazza militare di Taranto insieme al generale Gauvion Saint-Cyr. Come scrive monsignor Giuseppe Blandamura nel suo “Choerades Insulae”(1929), de Laclos nonostante come molti soldati napoleonici fosse minato nel fisico a causa delle febbri malariche contratte durante le campagne in zone torride e paludose, “nondimeno egli s’oprò in Taranto per mettere le cose del mare in perfetta efficienza bellica (…) sistemando fortilizi che sorgevano lungo le nostre coste”. Il 15 settembre 1803 morì di dissenteria nell’ex convento di San Francesco nel borgo antico, dopo 54 giorni di altissime febbri. Si tramanda che abbia rifiutato i conforti religiosi per cui fu sepolto – pare per sua volontà – nella piazza d’armi del Forte. Il forte che porta il suo nome, attualmente in disuso, è una struttura che si estende per circa 6000 mq e, posto com’è al centro delle bocche d’accesso al Mar Grande, ricoprì un ruolo fondamentale nella difesa di Taranto, avamposto di Napoleone nel Mediterraneo. I francesi furono presenti nella città jonica a più riprese, la più lunga delle quali dal 1806 al 1815. Il Fantasma di Laclos. Le ultime notizie della sepoltura del romanziere Laclos risalgono al 1814, allorchè il cavaliere Cataldo Galeota nel preventivo per il restauro del forte stimò in duecento ducati la cifra necessaria per sistemare la tomba. Ma la caduta di Napoleone non favorì certo la pietosa operazione: scrive sempre il Blandamura che le spoglie del francese non ebbero “il riposo del sepolcro nell’acre solitudine dell’isoletta”, e che “soldatesche indisciplinate ed incoscienti poco dopo, infranta la tomba, le dispersero vandalicamente”. A questo gesto sacrilego la tradizione ricollega la leggenda del fantasma di Laclos: i pescatori della zona raccontano infatti che nelle notti di mare in tempesta sia possibile vedere una spettro che vaga inquieto per l’isola. I più superstiziosi di loro addirittura si rifiutano di costeggiare l’isolotto, sebbene le sue acque siano frequentate da ricchi banchi di pesci. Alla maledizione del fantasma di Laclos vengono ricondotte anche molte disgrazie avvenute nel mare del Golfo di Taranto.

Tratto da www.famedisud.it/choderlos-de-laclos-e-sepolto-a-taranto-lo-scandaloso-autore-de-le-relazioni-pericolose/

Paisiello, l'istituto Musicale più antico di Puglia

La storia del Paisiello ha inizio circa novant'anni orsono, precisamente nel lontano 1927, in quel di Taranto, quando uno sparuto gruppetto di giovani musicisti mette su, al n° 40 di via Margherita, una scuola musicale privata, composta solo da due classi (violino e pianoforte).
Successivamente si aggiungeranno altre classi, quelle di canto, violoncello, viola, contrabbasso, armonia e contrappunto, strumentazione per banda, legni, ottoni e materie complementari. Nel 1929, la scuola (nel frattempo denominata Liceo Musicale "Giovanni Paisiello") diviene "Provinciale" e va avanti con le proprie forze e con l'aiuto di Provincia, Comune e Camera di Commercio fino al 1° Gennaio 1945, anno nel quale l'Amministrazione Provinciale di Taranto ne assume la gestione diretta.

 

www.paisiello.it

Mario Costa: è tarantino il compositore della più bella canzone popolare napoletana

Pasquale Antonio Cataldo Maria Costa, conosciuto come Mario Costa, nacque il 24 luglio del 1858 in via Duomo, in Città Vecchia, dove ancora oggi una targa ne ricorda la grandezza. Fu un compositore, tenore, pianista e autore di numerosissime canzoni popolari, oltre a operette, opere comiche, inni e marce. E' l'artista che nel 1885 compose quella che anche a Napoli è considerata fra le più belle, se non proprio la più bella, canzone tradizionale napoletana: Era de maggio. Come per altre sue opere, musicò i versi di Salvatore Di Giacomo, poeta e redattore del Corriere del Mattino. Trasferitosi a Napoli nel 1865 per gli studi, Costa si formò presso il conservatorio di San Pietro a Majella e per sessant'anni compose opere come 'A Frangesa, portata al successo dall'attrice tarantina Anna FougezOjè, Carulì, Luna novaA ritirataOili - oilàCatarìSerenata napulitanaMunasterioLariulà. Compose inoltre canzoni su versi di Ferdinando Russo (ScetateO cuntrattino) e su versi di Roberto Bracco (NapulitanataTarantì tarantella, Addimànnel'a mamma!, dedicata a Matilde Serao), Nu vecchio e na vecchia. In Era de Maggio viene narrato l'addio, durante il mese di maggio, tra due amanti, i quali si ripromettono di ritrovarsi negli stessi luoghi, ancora a maggio, per rinnovare il loro amore. 

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Taranto unica... 

alcune delle straordinarietà che rendono unico questo meraviglioso territorio

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