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Taranto, da colonia spartana a perla della Magna Grecia

“per la grandezza culturale, sociale, artistica ed economica raggiunta, la comunità greca stanziatasi in Italia poté considerarsi più grande della stessa madre patria Grecia. Tanto che dal III secolo a.C. le stesse colonie ebbero a definirsi con orgoglio: Megàle Hellas...“
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Dopo la colonizzazione del Mar Egeo, tra l'VIII ed il VII secolo a.C., genti di

stirpe greca comparvero nella parte meridionale dell’Italia nell'ambito di un

flusso migratorio originato da singole città della comunità greca, motivato

sia dall'interesse per lo sviluppo delle attività commerciali, che da tensioni

sociali dovute all'incremento della popolazione a cui la magra produzione

agricola non riusciva a dare sostentamento. Fu così che gente originaria di

Calcide ed Eretria, sull’isola di Eubea, fondò, nel 770 a.C. Pitechusa (l’attuale

isola di Ischia), il più antico stanziamento greco in Italia. A seguire, Kymai

(Cuma), Rhegion (Reggio Calabria) e Zancle (Messina). Poi giunsero gli

Achei a dar vita a Sybaris (Sibari) nel 720 e Kroton (Crotone) nel 710. 

Nel 706 fu la volta dell’unica esperienza coloniale spartana in occidente…e

fu la fondazione di Taras.

Alla prese con l’estenuante conflitto con i Messeni (820-743 a.C.), Sparta

dovette fare i conti con un grave calo demografico dovuto al protrarsi delle

ostilità, al quale decise di far fronte con un programma di ripopolamento

della città. Il geografo Strabone (I sec. a.C.), ci riporta in proposito due versioni: nella prima cita Eforo di Cuma Eolide, secondo il quale dal fronte furono rimandati nella città lacedemone cinquanta giovani, fra quelli svincolati dal giuramento di rientrare a Sparta solo a conquista di Messene avvenuta (svincolati in quanto ancora minorenni all’epoca del giuramento di inizio del conflitto). Nella seconda cita  Antioco di Siracusa (V sec. a.C.), secondo il quale il ripopolamento fu opera degli spartani che si rifiutarono di partecipare alla spedizione militare, motivo del loro declassamento a “iloti”.

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Indipendentemente da come sia andata, i figli generati da queste unioni irregolari furono estromessi dalla spartizione delle terre sottratte ai messeni al termine della guerra e chiamati “Parteni”, letteralmente “figli di vergini”, laddove per vergini erano intese le nubili, o le donne che recuperavano lo status di nubili a seguito dell’annullamento del matrimonio con gli spartani renitenti alla guerra. Questo fu il motivo della congiura ordita dai Parteni ai danni dello Stato, a circa vent’anni dalla conclusione della guerra messenica, e guidata da Fàlanto, nobile spartano, futuro fondatore di Taranto. 

L’attacco venne programmato in occasione delle feste di Apollo Giacinto ad Amicle, uno dei cinque villaggi in cui era divisa la popolazione di Sparta; Fàlanto aveva il compito di dare il segnale di inizio, coprendosi il capo con un berretto laconico. Tuttavia la congiura fu scoperta ed un araldo gli impedì di compiere il gesto.

Sebbene scoprirono la congiura, i nobili spartani furono clementi con i Parteni:

piuttosto che punirli, gli fu prospettata la possibilità di fondare una nuova città

e Fàlanto fu invitato a consultare l’oracolo di Delfi, come era usanza nel mondo

greco prima di intraprendere qualsiasi impresa importante. Il responso fu

favorevole perché la Pizia (sacerdotessa) prospetterà al nostro ecista la

possibilità di abitare “Satyrion e la fertile terra degli Iapigi”, diventando il

flagello delle popolazioni locali.

Fàlanto sbarca con i coloni spartani a Satyrion, l’attuale Saturo, probabile antico

insediamento miceneo risalente al XIV . 

E’ la fondazione di Taranto (ktísis), siamo nel 706 a.C..

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Un’altra leggenda, complementare, racconta della nascita della città risalendo

a circa 2000 anni prima di Cristo, ad opera di Taras, uno dei figli di Poseidone.

Taras sarebbe giunto in questa regione con una flotta, approdando presso un

corso d'acqua che poi da lui stesso avrebbe preso il nome: il fiume Tara. Sempre

secondo questa leggenda, Taras avrebbe edificato una città che egli dedicò a sua madre Satyria o a sua moglie Satureia e che chiamò quindi Saturo. Un giorno Taras sarebbe scomparso nelle acque del fiume e dal padre sarebbe stato assunto fra gli eroi.

La felice posizione geografica, adatta alla difesa così come ai commerci, con alle spalle il Mare Piccolo, pescoso e ricco di conchiglie da porpora e una fertile campagna, offrì le premesse per lo sviluppo economico e politico della colonia di Taras, sebbene la fondazione non fu indolore e avvenne a scapito delle popolazioni japigie e messapie, come testimoniato dalle numerose battaglie e rinvenimenti archeologici.

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Nel tempo le città magno-greche, un po’ per ragioni politiche, un po’ commerciali e di sovrappopolazione, fondarono a loro volta delle sub colonie un po’ in tutto il meridione d’Italia. Per opera dei sibariti vennero fondate Poseidonia (Paestum) e Metapontion (Metaponto), quest’ultima allo scopo di arginare l’espansione della vicina Taranto. I cumani fondarono invece Parthenope (Napoli), mentre zanclei e reggini fondarono Metauros (Gioia Tauro) e diverse altre sub colonie.

Nel V secolo nacque la Lega Italiota, un’alleanza tra Kroton, Thurii, Kaulon (Monasterace), Metapontion, Heraclea (Policoro) e poi Reghion al fine di respingere le avanzate di Lucani e le mire espansionistiche del tiranno Dionigi di Siracusa. 

Nel frattempo a Taranto, intorno al 500 a.C., sotto la tirannia monarchica di Aristofilide, si ebbe una conflittualità politica tale da provocare un gran numero di esuli. Da qui le continue aggressioni ai danni dei vicini Peucezi e Messapi. In particolare, la sconfitta subita dai tarantini e dai loro alleati reggini del 473 a.C., provocò la crisi della classe aristocratica al potere, che non poté opporsi ad una rivoluzione istituzionale di tipo democratico, in quanto decimata dalla guerra: molti aristocratici furono uccisi, e gli stessi Pitagorici vennero allontanati. 

Pausania ci parla di splendidi donari offerti dai Tarantini a Delfi indicanti due vittorie di Taranto sui Messapi, poco documentate dagli storici, ma con diversi riscontri archeologici. Probabilmente avvenute prima e dopo la sconfitta menzionata. La seconda di tali vittorie fu quella conquistata dalla città sotto il nuovo regime democratico. Ne è prova la presenza dell’eroe Taras e del Delfino, simboli della città, sul monumento a Fàlanto, segno della partecipazione corale della città all’impresa militare. 

La democrazia non arrestò la sua aggressività verso il mondo esterno e nel 433 a.C., dopo 10 anni di guerre, arrivò la conquista della Siritide contro Turi che si concluse con la costituzione della sub colonia di Heraclea (l’attuale Policoro). 

Verso la fine del secolo Taranto garantì il suo appoggio esterno a Sparta e all’alleata Siracusa durante la vittoria di Sparta sull’Atene del generale Pericle nella seconda guerra del Peloponneso. Lo fece negando nel 415 a.C. l’approdo nel suo porto alle navi ateniesi dirette verso la disastrosa spedizione siciliana. 

Proprio Dionigi di Siracusa, sconfitto l’esercito della Lega Italiota, trasferisce il potere di questa alla città di Taranto, accrescendone la sua importanza.

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Tra il 367 e il 361 a.C. Taranto raggiunse il suo maggior fulgore politico ed economico sotto il governo dello stratego Archita, facendone la città più importante ed influente della Magna Grecia. Ultimo rappresentante della scuola Pitagorica, ad Archita si attribuisce una riforma che prevedeva una più equa distribuzione della ricchezza con la concessione di terreni dello Stato ai meno abbienti.

 

Dopo aver fondato una serie di phrouria come Pezza Petrosa, Taranto ingaggiò una guerra di 5 anni contro Messapi e Lucani col ricorso, nel 342 a.C., al condottiero spartano Archidamo, poi perito in battaglia.

Nel 334 a.C., sempre al fine di difendersi dai “barbari” Lucani, Bruzi e Sanniti, Taranto assoldò il sovrano d’Epiro Alessandro I il Molosso, zio e cognato di Alessandro Magno, conquistando le città di Brentesion (attuale Brindisi), Siponto (parte dell’attuale Manfredonia), Cosentia (Cosenza), capitale dei Bruzi e Paestum. Ma le mire espansionistiche di Alessandro non piacquero ai tarantini che, temendo la sottomissione da parte del loro stesso difensore, lo abbandonarono. Questi portò così a Turi la sede della Lega Italiota e perì successivamente per mano dei Bruzi.

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Nel 303 a.C. fu la volta della guerra contro Lucani e Romani al fianco del

principe spartano Cleonimo, questa volta in un’alleanza inedita con i Messapi.

Anche in questo caso i tarantini non gradirono le mire espansionistiche del l

oro difensore, lasciando fallire i suoi attacchi alla Sicilia e ai Veneti (Livio, Ad

Urbe Condita, X, 2). Fu così che, allo scopo di arrestare l’espansione della

città ionica, i Lucani strinsero alleanza con i Romani i quali, tuttavia,

preferirono concordare la pace con la città Magno Greca piuttosto che

attaccare.  A seguito di questa pace fu stabilito il divieto per le navi romane

di spingersi più a oriente del promontorio Lacinio (attuale Capo Colonna,

presso Crotone, confine occidentale del Golfo di Taranto).

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Nel 282 a.C., Roma inviò una flotta composta da dieci navi in soccorso degli abitanti di Thurii assediati dai Lucani: per raggiungere Thurii, i Romani dovettero oltrepassare il promontorio Lacinio, e pretesero di ormeggiare nel porto di Taranto. La città festeggiava in onore di Dioniso, e la popolazione assisteva ai giochi nell'anfiteatro che sorgeva vicino al mare (sotto l’attuale mercato coperto di via Anfiteatro): viste all'orizzonte le navi romane che si dirigevano al porto, i Tarantini, che già odiavano Roma per le sue mire espansionistiche e per gli aiuti che aveva sempre prestato ai governi aristocratici, considerarono questa una violazione del trattato del 303 a.C., e non esitarono quindi ad affrontarle con la propria flotta, riuscendo ad affondare quattro navi e a catturarne una, e facendo molti prigionieri tra i Romani. Non appagati, marciarono contro la vicina Thurii, sopraffacendo il presidio romano e saccheggiando la città. 

Nonostante l'oltraggio subito, Roma non volle cominciare un guerra che avrebbe sicuramente richiamato nella penisola milizie greche o cartaginesi, pertanto inviò nella città come ambasciatore Lucio Postumio, per chiedere con fermezza la restituzione della nave e dei prigionieri catturati, nonché che si abbandonasse Thurii. Postumio fu accolto dalla popolazione con dileggio e sarcasmo a causa del suo abbigliamento e per gli errori commessi parlando il greco.

Avendo inoltre proferito delle minacce, la reazione dei Tarantini fu quella di invitare l'ambasceria stessa ad abbandonare subito la città, e si racconta che in quell'occasione un uomo di nome Filonide, soprannominato "Kotylè" per il suo aspetto, orinò sulla toga di Postumio, il quale così ammonì la popolazione: "Per lavare questa offesa spargerete una gran quantità di sangue e verserete molte lacrime". Fu il pretesto per la dichiarazione di guerra del 281 a.C..

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Taranto, per resistere alla potenza di Roma, strinse un’alleanza con Pirro, Re dell'Epiro e nipote di Alessandro Magno, il quale inviò il suo luogotenente Milone con un esercito di circa 30.000 uomini e 20 elefanti, obbligando i Tarantini validi ad arruolarsi. Gli scontri tra epiroti e romani furono sempre durissimi e costosi in termini di vite umane: la famosa Battaglia di Heraclea del 280 a.C., vinta dai tarantini e celebrata con una "Nike" in bronzo, vide protagonisti il console romano Publio Valerio Levino e lo stesso Pirro e costò 7.000 morti, 2.000 prigionieri e 15.000 feriti ai romani, mentre 4.000 morti e un gran numero di feriti tra i greci. 

Un altro successo fu conseguito della lega tarantino-epirota nella Battaglia di Ascoli Satriano del 279 a.C., ma anch’esso fu ottenuto a costo di numerose perdite, tali da dar vita alla celeberrima espressione  “vittoria di Pirro”, famosa in tutto il mondo.

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I successi degli epiroti furono conseguiti grazie alla presenza in battaglia degli elefanti da guerra,

animali tanto imponenti quanto sconosciuti ai legionari romani. Nonostante le iniziali vittorie, Pirro

non abbandonò mai il desiderio di concludere trattative di pace con i romani, consapevole della

potenza dei suoi avversari. Nel frattempo questi ultimi, avendo appreso che gli elefanti si

spaventavano alla vista del fuoco, avevano appositamente costruito dei carri armati con all'estremità

dei bracieri, ragion per cui le sorti delle successive battaglie si spostarono sempre più a favore di

Roma, tanto che Pirro decise di stipulare un trattato con cui si impegnava ad abbandonare l'Italia,

a patto però che si lasciasse tranquilla Taranto. Tuttavia Roma tornò ben presto in campo contro i

popoli del Mezzogiorno, e Pirro fu nuovamente invitato a ritornare in Puglia da messi inviati dall'Italia

meridionale. Le sconfitte di Pirro furono questa volta molto più incisive rispetto al passato, tanto che

dopo la disfatta di Maleventum (attuale Benevento) si ritirò in Grecia (dove morì poco dopo),

lasciando a Taranto una piccola guarnigione comandata da Milone.

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Fu a questo punto che i tarantini chiamarono una flotta cartaginese a sostegno, affinché li aiutasse a liberarsi del presidio epirota. Per tutta risposta Milone consegnò la città al console romano Lucio Papirio Cursore, segnando il passaggio di uno dei fari dell’antichità dal periodo Magno Greco alla dominazione romana a partire dal 272 a.C. Papirio fece smantellare le mura della città, le impose un tributo di guerra e gli sottrasse tutte le armi e tutte le navi. 

Tutto ciò che ornava Taranto (statue dell'arte greca, oggetti preziosi, pregevoli quadri) e qualsiasi cosa di valore, fu inviato a Roma, insieme ai matematici, ai filosofi, ai letterati, tra cui Livio Andronico, che tradusse dal greco l'Odissea per far conoscere ai romani l'epica greca; il grande poeta Leonida, invece, riuscì a fuggire prima della capitolazione della città, ma da quel momento visse un'esistenza miserrima, morendo in esilio. Ciò nonostante, Roma si astenne dall’infliggere a Taranto punizioni eccessive e vide rispettati i suoi monumenti, le sue leggi e la sua autonomia amministrativa e considerata nel novero delle città alleate, proibendole però di coniare moneta.

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L’importanza per i romani di questa conquista fu sottolineata dalle solenni feste, che durarono otto giorni, in cui furono celebrati Lucio Papirio e gli altri protagonisti della vittoria. Una vittoria che mise Roma in diretto contatto con la cultura greca da cui rimase irrimediabilmente affascinata.

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Nel frattempo questi ultimi, avendo appreso che gli elefanti si spaventavano alla vista del fuoco, avevano appositamente costruito dei carri armati con all'estremità dei bracieri, ragion per cui le sorti delle successive battaglie si spostarono sempre più a favore di Roma, tanto che Pirro decise di stipulare un trattato con cui si impegnava ad abbandonare l'Italia, a patto però che si lasciasse tranquilla Taranto. Tuttavia Roma tornò ben presto in campo contro i popoli del Mezzogiorno, e Pirro fu nuovamente invitato a ritornare in Puglia da messi inviati dall'Italia meridionale. Le sconfitte di Pirro furono questa volta molto più incisive rispetto al passato, tanto che dopo la disfatta di Maleventum (attuale Benevento) si ritirò in Grecia (dove morì poco dopo), lasciando a Taranto una piccola guarnigione comandata da Milone. Rimasta fedele a Roma durante la I guerra punica, Taranto, durante la seconda guerra punica, in seguito all'esecuzione di due prigionieri tarantini rei di aver tentato la fuga, crebbero nella città i sentimenti contro i Romani. Grazie al tradimento di due cittadini favorevoli all'arrivo dei Cartaginesi, Annibale riuscì nel 212 a.C. ad impadronirsi della città, costringendo i Romani a rinchiudersi in una roccaforte e a difenderla ad oltranza, cosa che gli impedì di usare Taranto come base per le sue truppe.

 

Nel 209 a.C., il sessantenne console romano Quinto Fabio Massimo, detto “Cunctator,

il Temporeggiatore”, si impadronì nuovamente della città, questa volta grazie al tradimento

di un ufficiale cartaginese. La punizione per il tradimento fu inesorabile: Taranto venne

saccheggiata e distrutta e dovette subire la deportazione di 30.000 uomini poi venduti come

schiavi. Si trattava della definitiva sottomissione a Roma e la fine di un’epoca.

Nel 123 a. C. Gaio Gracco istituì una colonia romana nel territorio confiscato dallo stato

romano. Dopo l'89 a.C., la comunità greca e la colonia romana confluirono in un'unica

struttura amministrativa, il cosiddetto "municipium", segnando l'omologazione completa di

Taranto nella Repubblica Romana. Fu la fine dell’importanza politica e militare di Taranto,

ma non di quella economica, con una floridezza che continuò fino all’età augustea, come

dimostrano i mosaici delle domus romane visibili anche all’interno del museo.

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Bibliografia:

Enciclopedia libera Wikipedia

Archeologia Taranto

Ricerca storiografica su Taranto e la Magna Grecia

Archita-da-Taranto
Alessandro I il Molosso in una moneta dell'epoca
Annibale-Barca-Museo-Napoli
Quinto-Fabio-Massimo-il-Temporeggiatore
Baia-di-Saturo
Taranto-dopo-la-conquista-romana
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